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Tu ce lhai un nonno?

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Quelle ruvide carezze che mi hai dato

ancora nonno mio non le ho scordate

quelle mani pesanti che han zappato

sulla mia pelle si sono appiccicate.

 

E valgono un tesoro e le ricordo

nel cuore anche scolpita ho la tua voce

pane raffermo questa sera mordo,

come facevi tu, con qualche noce.

 

Odora questa stanza di campagna,

solo a pensare a te penso al tabacco,

anche un umor di brina m'accompagna

e vedo te quand'eri stanco e fiacco.

 

E ti sedevi fuori dalla porta

come in poltrona su un consunto tufo

e ripetevi: ”In fondo non m'importa

ma a far questo lavoro sono stufo”.

 

“Anche se qui son re ce l'ho un padrone

pensi di poter tutti comandare,

ma lo stato ti tassa, è un gran ladrone,

e col maltempo i conti devi fare”.

 

“Spesso non piove e l'acqua è necessaria

se Dio non ce la manda ho secco in gola,

le galline si ammalano di aviaria

e i conti tocca far con la tignola”.

 

Nel suo gilè prendeva una cartina

le foglie di tabacco accartocciava

e sospirava: “benedetta brina”!

Poi un pòspuro* nel muro strofinava.

 

Salvatore Armando Santoro

(Boccheggiano 6.1.2018 – 23,14)

 

 

* Pòspuro (da fosforo = vecchi fiammiferi di legno in dialetto salentino).

 

 

 

 Arcangelo Galante - 08/01/2018 07:05:00 [ leggi altri commenti di Arcangelo Galante » ]

Sono davvero espliciti, intensi ed altrettanto veritieri, i ricordi dell’autore, poeticamente ben scritti, per ricordare una figura a lui tanto cara.
Non sempre abbiamo la possibilità di conoscere i nostri nonni, ma, la loro figura, rimanda a tutta la saggezza, racchiusa in uno spaccato di vita vissuta, ad altri tempi, in cui le “agevolazioni” della moderna tecnologia non erano presenti e tutto si svolgeva col duro lavoro manuale.
Un bello spaccato di vita agreste, già ben descritto nella prima strofa, con quelle carezze date da una mano, divenuta orma ruvida per il duro lavoro di zappatura della terra.
Sono gesti che, però, rimangono nel cuore, così come tutte le altre piccole azioni quotidiane, il pane raffermo con le noci, l’odore del tabacco, la galline da accudire, ma, soprattutto, l’inclemenza del tempo e le sue stagioni, con cui dover fare, spesso, i conti.
Si, perché il lavoro era durissimo, e, certo, bastava un attimo per veder svanire tutte le fatiche, a causa di una gelata o, peggio ancora, di una stagione arida, perché tutto andasse in fumo.
Da qui la stanchezza, comprensibile, per un’attività che, nel tempo, tutto aveva logorato…
Per fortuna che, ogni tanto, qualche foglia di tabacco accartocciata, permetteva di farsi concedere una giusta e meritata pausa, con qualche sospiro: “benedetta brina!”.
Poesia che ho molto gradito, gentile Salvatore.
Un caro saluto.

 Giulia Bellucci - 07/01/2018 22:17:00 [ leggi altri commenti di Giulia Bellucci » ]

La dura vita contadina ritorna in questa poesia e credo che la vita del contadino sia di poesia davvero vissuta. È un lavoro che non ripaga molto se non con la bellezza della natura stessa con cui si resta a contatto ogni giorno. Non ripaga perché purtroppo tutto dipende dall’andamento delle stagioni che l’uomo non può controllare. Qui viene rievocata attraverso il ricordo del nonno, figura molto cara al poeta. La parola pospuro viene usata anche in Calabria, in particolare nel Cosentino che però diventa ’prospuro’ . Immagino che molti dialetti abbiano radici simili.

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